Ultima Notte a Soho: La Recensione

Ultima Notte a Soho è un thriller-horror diretto da Edgar Wright che ha scritto la sceneggiatura insieme a Krysty Wilson-Cairns.
Immagino il film sarebbe dovuto uscire nel 2020 e poi per ovvi motivi è stato slittato di un anno. Pubblicizzato veramente male e distribuito pure peggio, il film non sarà un successone al botteghino e dispiace, perché la pellicola è molto classica, ma vale il prezzo del biglietto. Recensione spoiler.

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Il film ruota intorno ad Eloise, giovane studentessa che vince una borsa di studi e si trasferisce a Londra dalla Cornovaglia. Eloise ha un dono, una capacità, percepisce elementi sovrannaturali intorno a lei. E a Londra sarà coinvolta in un oscuro passato.

Ogni grande numero di magia è costituito da tre parti. La prima si chiama presentazione: il mago mostra qualcosa di ordinario che naturalmente non lo è. La seconda si chiama colpo di scena: il mago trasforma l’ordinario in straordinario. Non cercare di scoprire il segreto perché non ci riuscirai, per questo esiste una terza parte chiamata prestigio dove succede l’inaspettato, dove vedi qualcosa che non hai mai visto prima.

Come mai nella recensione di Ultima Notte a Soho cito uno dei dialoghi più celebri di The Prestige? Semplicemente perché trovo che questa frase si sposi bene anche con questo film e mi permetta di spiegare perché il film di Edgar Wright mi è piaciuto molto.

Iniziamo dalla presentazione, dall’ordinario che però non lo è. In soldoni: la prima parte.

La prima parte della pellicola è molto vanitosa. Sa d’aver realizzato un grande lavoro tecnico e ci tiene a metterlo in mostra. Dalla ricostruzione materiale degli anni ’60, la prima sequenza è di grande impatto, all’avere due differenti punti di vista che osservano le vicende passate.
La sequenza del ballo con le due ragazze che si alternano al fianco di Matt Smith è un momento molto complesso, ma anche interessante, che ben fa capire che Ellie sta provando di qualcosa di più profondo che un semplice vedere.
Tra l’altro ho avuto modo di vedere il backstage della pellicola su YouTube scoprendo che la sequenza è stata creata in modo continuativo, non con il montaggio: le due attrici si alternavano a fianco di Matt Smith inginocchiandosi quando non era il loro momento. Complimenti a tutti per il grande lavoro, per nulla facile.

Tutta immagine e zero sostanza? Tutt’altro. Alla prima parte piace specchiarsi, ma ha anche tanti contenuti. Alcuni strizzano gli occhi a quel gioiello di Crimson Peek di Del Toro (la casa su cui è rimasta “l’impronta” di qualcosa di terrificante e sovrannaturale), altri sono originali del film.
Come la gradualità con cui andiamo a fondo nella storia di Sandy: si parte come la più classica delle fiabe, il sogno di una bella ragazza di divenire famosa conoscendo un cavaliere. E in breve l’incubo, morale e infine quello di sangue con Sandy che sembra esser stata massacrata.

Ma ecco la seconda fase, il colpo di scena, dove Wright prende l’ordinario e lo rende straordinario.

Chi, come me, ha conosciuto Matt Smith in Doctor Who sa che nella sua ultima interpretazione appare molto anziano e pesantemente truccato, un trucco che lo fa assomigliare molto al Terence Stamp di questo film. Lo stesso trailer alternava rapidamente l’immagine di Smith a quella di Stamp.
Tutto ciò per dire come l’ordinario sembrava essere che Jack fosse invecchiato switchando da Matt Smith a Terence Stamp e che il film in modo ordinario si ponesse l’obiettivo di assicurare la cattura del feroce omicida di Soho che massacrò la povera piccola tenera e angelica Sandy.

Ma ecco lo straordinario, quell’evento che scombina le carte, toglie certezza e soprattutto fa aumentare la qualità del prodotto: Terence Stamp non è Jack da vecchio. Vi lascio immaginare dove sia finita la mascella davanti a quella rivelazione.
Tanto più che si scopre che Stamp interpretava una versione anziana del poliziotto che vediamo per 40 secondi scarsi in mezzo ad altre centinaia di facce.

In quel momento Ultima Notte a Soho passa da un ordinario thriller di grande fattura ad un film di profonda capacità e molto studiato: sia nel come mostrarsi, che nei tempi, sapendo bene dove e quando cambiare passo.
Ma rimane l’ultimo atto, rimane il prestigio.

Anche davanti alla rivelazione di chi stesse interpretando Terence Stamp, comunque, io spettatore restavo convinto che Sandy fosse comunque morta, che il suo cadavere fosse sul fondo del Tamigi e che semplicemente il colpevole fosse un altro.

Ma ecco il prestigio, il colpo di genio assoluto che rende la pellicola indimenticabile: Sandy è ancora viva. Qui altro che mascella caduta a terra.
Il colpo ad effetto avviene con la stessa delicatezza con cui si muovono altre vicende della storia, ma ha un peso e un potere che ti lascia di sasso, anche perché era l’ultima cosa che ti potevi aspettare.
E per caricare ulteriormente la situazione non solo Sandy è ancora viva, non solo è l’effettiva colpevole, ma è pure la padrona di casa, quella che sembrava uno dei millemila comprimari che tappezzano qualsiasi film.

Ultima Notte a Soho è un thriller vecchio stampo, che si muove secondo le più classiche regole, che punta a far percepire a qualcosa al pubblico piuttosto che mostrare materialmente litri di sangue a fiume.
La sua dose di horror c’è, di morti anche, ma c’è anche tanta semplicità e linearità che sboccia in modo intelligente in una pellicola che nell’arco di due ore ribalta tutto quanto.

Come detto: pubblicizzato male e distribuito peggio (in sala eravamo in 7-8), il film di Wright non avrà la dovuta attenzione e merito. Dopo l’eccellente Old di questa estate, abbiamo questo nuovo thriller che nel classico sa essere fenomenale, che segue alla lettera le regole basilari, a partire dal fatto che il colpevole è il meno sospetto.

Vanesio e molto tecnico nella parte iniziale, dirompente nel finale. Io amo lo splatter, amo l’horror, ma ho anche tanto bisogno di questi thriller dove i colpi di scena sono studiati, i tempi sono perfetti e dove alla fine vince la soddisfazione d’aver avuto tutto ciò che il cinema dovrebbe essere: emozione pura.

Mi è piaciuta la regia, mi è piaciuta la storia. Tra l’altro in una pellicola che secondo me si presta bene a tanti rewatch, ci sono tanti dettagli in cui Wright ha secondo me nascosto informazioni sul finale, come ad esempio il graffio sul volto di Matt Smith o il fatto che Ellie vede tutti i clienti come dei fantasmi perché sono effettivamente morti. O i riferimenti, nei giornali in biblioteca, alla gente scomparsa.

In generale siamo davanti ad una pellicola dove a mostrare i muscoli è la sceneggiatura, come dovrebbe sempre essere. A ruota viene seguita da una regia difficile da gestire, ma sa fare il suo lavoro. E non essendo un viaggio nel tempo classico si muove bene sul filo tra onirico e reale, tra ricostruzioni non precise perché qui si muove tutto su un dono, una qualche capacità di Ellie su cui giustamente Wright non si sofferma.

Giganteggia un cast studiato al millimetro a partire da Anya Taylor Joy.

Ne stanno tutti parlando bene di questa ragazza e ora capisco il perché. Nel film le è chiesto di apparire soprattutto e lei lo fa bene contribuendo a portare fuori strada lo spettatore: sembra seriamente un piccolo angelo brutalizzato dal mondo e dalla Londra degli anni ’60, dalla misoginia dell’epoca.
In realtà nella sequenza finale dove le due Sandy si alternano esce fuori il diavolo in quel volto angelico. Non nascondo che quando canta Downtown mi sono sciolto come burro al sole.

Diana Rigg, ovvero lady Olenna Tyrell, scomparsa nel settembre 2020, gioca bene il suo ruolo: all’apparenza una semplice padrona di casa, poi si scopre serial killer. La sequenza finale tra le fiamme è molto potente, la Rigg è bravissima nell’interpretare queste vecchiette all’apparenze innocenti e sotto tremende.
Tra l’altro il suo essere contro ad avere uomini dopo le 20 si rivela poi essere un gigantesco indizio sul finale, giusto per dire come la pellicola meriti più rewatch.

Thomasine McKenzie dopo la spiaggia maledetta di Shyamalan si ritrova coinvolta in un incubo a Londra. È un’attrice di grande talento, che riesce bene nei ruoli dove deve mescolare delicatezza a determinazione. L’ho conosciuta con Jojo Rabbit, ha un futuro davvero notevole.

Matt Smith, conosciuto per la sua solarità e positività nei panni del Dottore, riesce perfettamente in questo ruolo oscuro, tutt’altro positivo. È nato per stare negli anni ’60, sa come apparire, come vestirsi e come comportarsi. Introdotto per essere il principe azzurro della fiaba, diventa gradualmente l’orco dell’intera pellicola.
Terence Stamp non è Smith invecchiato, ma sa fare il suo ruolo portando lo spettatore fuori strada, in particolare nell’ultima conversazione dove gioca bene con lo sguardo recitando il giusto dialogo che sembra quasi confermare che sia realmente un vecchio Jack.

L’unico reale difetto del cast è un doppiaggio abbastanza approssimativo, il rewatch del film andrà fatto rigorosamente in lingua originale.

A parte ciò siamo davanti ad un film di livello, merita la visione rigorosamente al cinema. Non sarà un successo commerciale ed è un peccato, ma negli anni son sicuro diventerà un piccolo cult del genere. È vicino, come detto, al Crimson Peek di Del Toro, ma sa prendere la strada opposta di quel film.
E va bene così, Ultima Notte a Soho funziona proprio per la sua capacità di realizzare il miglior prestigio possibile.

8.5

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